ISTITUTO COMPRENSIVO DI GENZANO DI LUCANIA

Una coomunity di apprendimento centrata sui problemi della scuola.

Monday, January 28, 2008

“ PREGATE CONTINUAMENTE “


Si è conclusa ad Acerenza la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani , alla presenza dell’Arcivescovo e di padre Adriano (sacerdote ortodosso autorizzato dalla conferenza episcopale di Basilicata per guidare i fedeli ortodossi presenti in diocesi ) per ricordare a tutti noi l’importanza di questo appuntamento annuale , affinché le parole di Gv “che tutti siano una cosa sola “ possano realizzarsi fra i fratelli divisi dell’unica chiesa di Cristo. L’Arcivescovo durante la recita del vespro in rito ortodosso ha ricordato che quest’anno la settimana di preghiera per l’unità celebra cento anni dalla sua istituzione ,1908-2008 e il tema che è stato proposto come riflessione e preghiera è “Pregate continuamente “. Tanti sono i tentativi, le proposte e gli sforzi fino ad ora per il raggiungimento dell’unità fra le chiese. Nel cammino verso l’unità , il primato spetta senz’altro alla preghiera comune attorno a Gesù Crocifisso e Risorto. La preghiera costruisce ponti di amore, di pace e di speranza per la realizzazione della volontà di Dio, obbligando così le rispettive comunità a modificare il comportamento nei confronti le una dalle altre, ad abbracciare il metodo del dialogo e farle uscire dai propri confini, incontrare le altre chiese , comunicare l’una a l’altra la volontà di Dio e testimoniare al mondo i propri sforzi per l’unità dei cristiani. Pertanto l’esortazione pregate continuamente è dono divino e deve costituire una parte integrante della vita dei cristiani. Il saluto che padre Adriano ha rivolto all’assemblea e alla comunità dei fratelli ortodossi giunti in cattedrale per questo momento di preghiera è che l’unità deve essere per tutti un dono di Dio, raggiunto attraverso la preghiera incessante, per poter concederci il dono di mangiare e bere intorno allo stesso altare e allo stesso calice.
Senza dubbio, la fiducia nel potere della preghiera è comune a tutte le tradizioni e costituisce un ricco potenziale per far avanzare la causa dell’unità . L’essere insieme permetterebbe di progredire più speditamente.







Gruppo Editing

Sunday, January 27, 2008

I RIFIUTI DI UN TEMPO

Se chiediamo ai nostri nonni di parlarci del problema dei rifiuti ai loro tempi, ci risponderanno così: “ai nostri tempi il concetto di immondizia era del tutto assente”. Le cose, infatti, funzionavano così. Tutto ciò che di organico restava dopo il pasto veniva prontamente e completamente riciclato: le sostanze vegetali (bucce di patata e cocomero, torsoli di broccolo e di mela, resti di verdure, bucce di piselli, fave, cavoli) finivano, misti a crusca ed acqua calda nel truogolo dei maiali che ogni famiglia allevava.
Residui più nutrienti (ossa, interiora, scorze di formaggio, resti di polli ecc…) costituivano la base della zuppa per i cani: allora non esistevano i consumistici barattoli di cibo per animali domestici.
Tutto il resto (briciole di pane, pulitura di riso, lenticchie bacate, semi di melone e cocomero ecc…, andava sulla concimaia per la gioia del pollame ruspante.
La carta, oleata o gialla, con cui i negozianti avvolgevano i cibi, dal tonno alle acciughe, dal sale ai fagioli, serviva per accendere i fornelli, le stufe e i camini. Le cotenne del lardo, lo strutto irrancidito e altre sostanze grasse non utilizzabili più in cucina andavano, con la soda caustica, nel calderone con cui si faceva il sapone.
La cenere dei camini, dei fornelli e delle stufe, con qualche foglia di alloro, si stendeva sul bucato per ottenere un lavaggio perfetto.
I barattoli di conserva costituivano vasi ideali per il basilico ed il prezzemolo, la maggiorana, la salvia, le bottiglie usate venivano impiegate per imbottigliare il vino migliore e i pomodori in conserva.
I fondi di caffé finivano come fertilizzante, ottimo, sulle piante da fiore.
Insomma un riciclaggio completo.
E non parliamo di un secolo fa, ma di appena una quarantina di anni fa,, e precisamente dopo la seconda guerra mondiale.

LE DISCARICHE
Che fine fanno i rifiuti dopo essere stati raccolti?
Una parte consistente viene utilizzata per riempire grandi buchi nel terreno, come le vecchie cave. Questi particolari depositi di rifiuti si chiamano discariche interrate, ogni giorno, sopra l’immondizia, viene steso uno strato di terra che impedisce agli uccelli , ai topi di nutrirsi e di moltiplicarsi sui mucchi di rifiuti. Questi animali, infatti, possono diffondere germi e malattie. Dopo alcuni anni, sulla terra che ricopre la discarica si possono costruire case o campi da gioco, piantare gli alberi o seminare cereali. Le discariche interrate sono il modo più economico per liberarsi dei rifiuti, ma sono spesso lontane dalle città e il trasporto è costoso. Inoltre possono danneggiare l’ambiente: se i rifiuti tossici, come il mercurio delle batterie, passano dalla discarica al terreno, lo inquinano.


BRUCIARE I RIFIUTI
Un altro sistema per liberarsi dei rifiuti è bruciarli in una grande macchina chiamata INCENERITORE (TERMOVALORIZZATORE). Ma costruire e far funzionare un inceneritore è molto costoso e in realtà solo una piccola percentuale di rifiuti si elimina con questo sistema. Il calore prodotto bruciando i rifiuti può essere utilizzato per riscaldare le case o per produrre energia elettrica. Dopo aver bruciato le immondizie resta solo una piccola quantità di rifiuti, che non diffondono più malattie e si possono riutilizzare, ad esempio, per costruire strade. Ma se un inceneritore non funziona bene o non brucia i rifiuti a una temperatura sufficientemente elevata, il fumo e i gas nocivi (diossina) che fuoriescono dalla ciminiera possono inquinare.

Gli alunni della classe 5A


Breve ontologia semi-seria del concetto di ‘spazzatura’

I grandi problemi dell’umanità assomigliano ai grandi fiumi: se non si prendono le dovute precauzioni a tempo debito, prima o poi straripano.
Ora, la situazione attuale, è grossomodo la seguente.
I disastri ambientali, dovuti ad un selvaggio abuso della tecnologia potrebbero portare al collasso ecologico del Pianeta. Il condizionale è d’obbligo a causa della grande sensibilità alle ‘condizioni iniziali’ delle equazioni che descrivono l’evoluzione dei fenomeni atmosferici; risultato teorico, questo, meglio noto col nome di ‘effetto farfalla’.
L’abissale disparità di reddito pro-capite fra gli abitanti del Nord e del Sud del Globo, crea un gradiente economico che è causa di ingenti flussi migratori, all’origine di deprecabili reazioni xenofobe e di prese di posizione fondamentaliste, soprattutto di natura religiosa.
Il pericolo di una terza guerra mondiale, per semplici questioni di monopolio energetico, è sempre dietro l’angolo; e le ‘democrazie’ sono di fatto tutt’altra cosa, rispetto a ciò che, su base prettamente etimologica, pretendono di apparire. Su questo tema, ad esempio, Eric J. Hobsbawm (in “La fine dello Stato”, Rizzoli, 2007) è riuscito a restituire davvero una lucida analisi.
E, ‘foetidus in fundo’, sta venendo a galla, ad ogni scala del ‘frattale sociale’, la questione dei rifiuti; sotto diversi aspetti: raccolta, deposito, smaltimento, separazione ed eventuale riciclo. Un problema così attuale e scottante, da meritare una lucida analisi, seppur breve. Poiché afferrare l’essenza nascosta che si annida sotto la superficie delle parole, spesso significa non solo imparare ad utilizzarle meglio ed a nutrire per esse il dovuto rispetto, ma anche ad agire con più cognizione di causa.
Ebbene, chiediamoci allora cos’è mai, ontologicamente parlando, questa ‘spazzatura’ intorno alla quale tanto ultimamente si discute E rispondiamo, com’è prassi consueta in ogni tentativo d’edificazione di un modello teorico, semplificando un po’ i termini, ovvero mettendo da parte i dettagli forvianti.
Dunque, cominciamo con l’assimilare la ‘macchina sociale’ ad una scatola chiusa. Non ci interessa ciò che contiene. Basti solo rendersi conto che, per conservare la sua efficienza, essa necessita di un flusso costante di ‘energia’ entrante, il quale, dopo essere stato metabolizzato, produce un più modesto flusso di ‘scorie’ da espellere fuori dalle ideali pareti immaginarie che la isolano. È appunto questo ‘residuo’ – tanto più consistente quanto maggiore è il livello d’ordine da ‘nutrire’, e quindi più intensa la ‘fame’ d’energia del sistema – che chiamiamo ‘spazzatura’.
Nulla di strano, in fin dei conti. Che le cose debbano necessariamente andare così, deriva da un ferreo ‘comandamento’ di Natura, conosciuto come ‘principio di degradazione dell’energia’ (o ‘legge dell’entropia’). In sostanza, semplificato al massimo, esso afferma che non sono possibili trasformazioni spontanee che riescano ad aumentare (o anche solo a conservare) lo stato d’ordine di un ‘sistema isolato’; e che quando ciò si renda possibile assorbendo ‘ordine’ (e quindi energia) dall’esterno, occorre sempre pagare uno scotto di ‘energia sporca’ (disordine) da restituire all’ambiente, di modo che nel suo insieme, l’Universo continui a scivolare lentamente verso il caos.
Ad esempio, le piante, per crescere e magari fiorire (aumentando così la loro complessità, funzione dell’ ordine intrinseco), devono nutrirsi di luce e di CO2 liberando ossigeno. Ma la Natura sa ben ottimizzare i suoi processi, e quindi, in qualche modo, ha fatto sì che alla vita animale la molecola di O2 fosse indispensabile, assieme ad altri elementi quali l’acqua, le proteine, le vitamine ecc.; e che l’ ‘animale’, anch’esso suddito dell’inviolato ‘principio’, si ritrovasse costretto ad elargire il suo pedaggio alla Vita sotto forma di materia organica, riciclabile dallo stesso regno vegetale. Di modo che il ‘circolo’ possa sempre chiudersi con la massima ottimizzazione del ‘dono’ solare.
Le automobili, le fabbriche ed i restanti marchingegni escogitati dall’uomo, invece, non sono calettati al ‘resto del mondo’ con la stessa sapienza organizzativa; ed il ‘disordine’ che generano è destinato ad accumularsi, andando, sul lungo periodo, a minare il delicato equilibrio del Pianeta.
Ben vengano, dunque, i tentativi di raccolta differenziata dei rifiuti ed il conseguente riciclo, che altro non rappresentano se non un timido tentativo di confarsi alla saggezza di madre-Terra.
Cosicché, alla fine, tutto ruota attorno al ‘secondo principio della termodinamica, unica causa all’origine d’ogni forma più o meno ‘nobile’ di spazzatura.
Detto ciò, possiamo passare dal mondo delle Idee a quello, molto più prosaico, dei fatti.
Mi è capitato di leggere, alcuni giorni or sono (scrivo il 16 gennaio 2008) sul Corriere della Sera, un intervista fatta telefonicamente al nostro Governatore di Basilicata a proposito del suo ‘no’ alla spazzatura napoletana in terra lucana, proferito a Prodi. Ebbene, quello che emergeva da questa importante ‘vetrina’ nazionale era un rifiuto timido, circospetto, ovattato da tanta paura di dispiacere al ‘capo’, e scevro di quel sano e dignitoso orgoglio che dovrebbe appartenere ad ogni buon rappresentante di popolo (a scanso di equivoci, chi scrive è da annoverarsi, per sentito appoggio a quel che considerava essere il ‘male minore’, fra gli elettori dell’attuale Governo).
Del resto, se finanche la piccola regione che abitiamo – la quale può vantare un rapporto territorio-popolazione tale da garantire consistenti porzioni di ‘natura’ per abitante – ci si arrabatta sul tema dello smaltimento dei ‘propri’ rifiuti (la recente diatriba comunale sulla questione-discarica a Genzano funga da piccolo, significativo esempio), come avrebbe mai potuto, il povero Governatore, addossarsi il rischio dell’ira dei suoi fedeli votanti accettando addirittura spazzatura d’oltre confine?
Ed a proposito di ‘natura’, vorrei, a questo punto, concludere con una osservazione un po’ più profonda.
Mi risulta (e devo ammettere che quando l’ho scoperto ho sentito istintiva ammirazione nei suoi confronti) che De Filippo, prima di imbarcarsi nello sporco mare della Politica, abbia a lungo navigato nei cristallini oceani della Filosofia, distinguendosi, in particolare, come studioso di Benedetto Spinoza: il filosofo di origini ebraiche (ma ateo) del Deus sive natura ( Dio, ovvero la natura).
Or dunque, se questa è la formazione di base, allora, che tanto rispetto egli voglia trasmettere alla sua gente anche a proposito dei vilipendiati ‘rifiuti’, già sopra ontologicamente riscattati e, dal punto di vista panteistico del pensatore olandese del XVII secolo, addirittura, per questioni di coerenza di pensiero, da elevare ad ‘attributo divino’!
Certo è, comunque, che riguardandolo sotto tale ottica, il problema potrebbe risultare più facilmente risolubile. Se non altro per ‘rispolverata’ dignità dell’oggetto in questione..
Senza contare che, a voler scavare ancora più a fondo nella ‘natura delle cose’, niente ci assicura davvero che finanche noi stessi – esseri biologici presuntuosi e con innata tendenza all’autodivinizzazione –, da un punto di vista ontologico più sottile, potremmo non costituire altro che il mero ‘prodotto intermedio’ di un qualche più fondamentale processo guidato dall’ ‘economia’ nascosta di questo spinoziano universo-dio. E quindi, nient’altro che SPAZZATURA.

Gianrocco Guerriero

L’ANNO NUOVO: 2008

L’anno vecchio se ne va
E l’anno nuovo eccolo qua
Con Gennaio inizierà
E tante sorprese ci porterà.
Tra spumante frizzante
E panettone croccante
Tutti rideremo
E la guerra non faremo.
Speriamo che quest’anno
Con un po’ d’incanto
La Pace regnerà
E la guerra se ne andrà.
W il 2008
Elio M. 5 A

W L’ANNO NUOVO
L’anno vecchio se n’è andato
E quello nuovo è arrivato
È arrivato con allegria,
mentre quello vecchio, con petardi e botti,
è andato via.
A scuola siamo ritornati
E con gli amici ci siamo ritrovati.
E’ tanto bello stare in famiglia
Ma con gli amici è una meraviglia;
per le maestre nulla da dire…
come fanno a sopportare le nostre monellerie?
Per questo nuovo anno, tanto spero,
di avere vicino a me persone sincere.
Nulla da dire fino ad adesso
Tanto sono felice lo stesso!
Ma speriamo che il 2008 sia migliore
E soprattutto ci sia amore.
Milena G. 5 A




L’ANNO NUOVO

L’anno nuovo è arrivato,
con Gennaio è iniziato.
Quest’anno, un po’ speciale
“bisestile” lo dobbiamo chiamare;
si sperano tante cose
belle, gioiose,
che tutto l’anno colmeranno
e, stare bene ci faranno.
Tanti brutti eventi, del vecchio anno, dimentichiamo
E nel futuro guardiamo.
Speriamo che quest’anno,
tutti quanti felici saranno.
Dario A. 5 A


DIALOGO TRA IL 2007 E IL 2008
Poco prima della mezzanotte del 31 dicembre, s’incontrarono il 2007 e il 2008.
Il primo, con aria saggia, chiamò il 2008 e si apprestò a dargli qualche consiglio, quando… quest’ultimo, si mise a piangere a dirotto.
IL 2007, preoccupato, chiese il motivo di tale gesto.
Il 2008 , rispose che piangeva perché lui è un anno bisestile e quindi si crede che porti sfortuna. L’anziano 2007, lo confortò e lo consigliò su come doveva fare.
Il 2008 , allora, si asciugò i lacrimosi e, con aria coraggiosa, disse che si sarebbe impegnato al massimo per essere un bellissimo anno pieno di gioia e felicità.
Il 2007, poi, mise in guardia il 2008 su pregi e vizi dell’umanità.
5 A


Come immagini tu il tempo?
Per me , il tempo è una sorgente inesauribile d’acqua. Essa , infatti, è indispensabile per tutti gli esseri viventi, proprio come il tempo.
Senza tempo non si potrebbe vivere.

Io immagino il tempo come dei fiori che non muoiono mai e crescono, crescono,crescono.
Anna A. 5 A

Tuesday, January 22, 2008

Sorpresa di Chieppa al Vescovo Ricchiuti, giovedì sera in chiesa, in occasione della festa di S. Antonio Abate

Serata svoltasi sotto una cappa di piacevole ‘attesa’, quella della celebrazione vespertina in onore di Sant’Antonio Abate, nella chiesa di Maria SS. delle Grazie. E l’epilogo non ha affatto deluso i fedeli, numerosi a tal punto da essere costretti a rimanere in gran parte in piedi.
A dire il vero, il Vescovo Giovanni Ricchiuti – invitato per l’occasione da don Gaetano Corbo – era già egregiamente riuscito ad accaparrarsi l’attenzione e le simpatie dei presenti (se ancora ce ne fosse stato bisogno), con un’ incisiva omelia incentrata sia sulla figura del santo ‘protagonista’ che sull’attuale diatriba scienza-fede scatenatasi nei giorni scorsi a Roma; dimostrando, in particolare un grande rispetto per i non-credenti (che non può non suscitare reciprocità), nonché sincero desiderio di ‘dialogo’ nel tentativo di riuscire a costruire un futuro su solidi basi comuni, della cui esistenza si è dichiarato convinto.
Poi, a fine messa, il ‘mistero’ che era stato volutamente mantenuto fino alla fine, è stato svelato. E così, dopo essere stato omaggiato, dal Comitato Festa, di una preziosa icona della Madonna, Monsignor Ricchiuti ha potuto ammirare il dono che il Maestro neo-espressionista originario di Genzano (purtroppo non presente per impegni a Milano) aveva riservato per lui: un ritratto in puro stile-Chieppa, in cui la figura del Vescovo si staglia avvolta da pennellate policromatiche che paiono abbracciarlo. E, difatti, il titolo dell’opera è “L’abbraccio”. La tela, dopo essere stata mostrata al pubblico, gli è stato consegnato dalle mani di Natale Bovenga, curatore della mostra (nonché del rispettivo catalogo) “La Danza della Vita”, che sarà inaugurata ad Acerenza, il prossimo 16 marzo, nelle sale del Museo Diocesano.


Intervista (in chiesa, dopo la messa, in pubblico) al Vescovo Giovanni Ricchiuti

Eccellenza, è ben noto che l’arte occidentale nasce essenzialmente come ‘arte sacra’. Poi, in qualche modo, si distacca dalla tematica religiosa divergendo per altre vie. Eppure, il Novecento, artisticamente parlando, sembra essersi riconciliato con una certa forma di ‘spiritualità’ intesa in senso lato, forse di natura un po’ panteista. Mi riferisco, in particolare, alla Metafisica di De Chirico ed all’opera di autori quali Magritte e Dalì. E di quest’ultimo, basti un esempio: la famosa rappresentazione della crocifissione mediante il contemporaneo utilizzo di due prospettive di fatto incompatibili, ma probabilmente volte a ‘centrare’ un bersaglio posto al di là della soglia percettiva razionale.
Ebbene, alla luce di tutto questo, come pensa stia evolvendosi, in questo primo secolo del III millennio, il rapporto tra l’arte ed il ‘sacro? E, nella fattispecie, come ha inteso l’approccio del neo-espressionista Francesco Chieppa al tema?


Bene. Innanzitutto vorrei palesare questa mia impressione: Genzano sembra avere una interessante peculiarità, che è quella di riuscire a ‘partorire’ persone destinate a lasciare al mondo una importante traccia della propria genialità. E Chieppa ne costituisce un esempio eclatante. Accolgo sempre con piacere l’invito a partecipare alle vostre celebrazioni, e l’affetto palesatomi mi gratifica e va a rinforzare il mio congenito buonumore. Soprattutto in questi giorni, in cui tutti i rappresentanti della Chiesa non possono non sentire sulle proprie spalle il rammarico del Papa, sulla cui persona è piombato un astio che, su un più elevato piano dialettico, non ha motivo d’esistere. Ecco dunque, che la mia risposta alla tua domanda mi offre l’occasione di far capire come, in fondo, la ‘conoscenza’ e la ‘ricerca’ possano essere riguardate in maniera tale da non poter più costituire un fattore discriminante fra Scienza e Fede.
Sento di poter affermare, quindi, che se è vero che l’Arte – la quale effettivamente in Occidente nasce come ‘arte sacra’ – si è in seguito più o meno allontanata dal soggetto di partenza, è pur vero che, ad una più attenta analisi, il risultato non è mutato. Per la semplice ragione che l’artista, nel suo ‘operare’ (col pennello, sulla pietra, con una penna sulla pagina bianca o con le note), non fa altro che cercare di avvicinarsi quanto più possibile, magari in maniera asintotica, all’idea di Bello; la sua è una ricerca di perfezione nel regno dell’Estetica. ‘Territorio’, quest’ultimo di incontro non conflittuale fra credenti e non-credenti. Forse unico vero punto d’intesa dal quale poter ricominciare un dialogo. È ovvio, naturalmente, che per noi cristiani il Bello è univocamente identificabile con Dio. E Francesco Chieppa sembra essere per molti versi allineato con questo punto di vista.
Davvero condivisibile, anche da un punto di vista prettamente laico.


Ed ora una domanda più prosaica, ma inevitabile. Dunque: come è approdato Chieppa al museo diocesano, e qual è il ruolo in tutto questo di Natale Bovenga, attento curatore del catalogo e della mostra?

Comincio con Natale. È una persona insistente; che non lascia respiro. Lo dico in senso positivo, naturalmente. Tiene costantemente sotto controllo tutto, e, grazie alla sua collaborazione, siamo certi che tutto si svolgerà per il meglio.
In quanto a Francesco, l’ho incontrato per la prima volta lo scorso agosto, durante i festeggiamenti in onore di Maria SS. delle Grazie, in questa chiesa. In quella occasione ci fu una sua ‘performance’ davanti ai fedeli, dalla quale venne fuori una originale ‘Sacra Famiglia’ che colpì il mio interesse. Quindi visitai la sua mostra, fui ‘catturato’ dal titolo che le era stato dato, ed a mia volta invitai l’artista ad Acerenza, affinché potesse dare ‘un’occhiata’ al Museo Diocesano da poco inaugurato. Da lì a concepire l’evento che prenderà il via il 16 marzo prossimo, c’è voluto poco.
Ma ora, saluto con affetto tutti voi e, soprattutto, anche se non è qui presente, ringrazio il Maestro Chieppa per il gradito dono del quale, a mezzo di Natale, di questa Parrocchia e dei suoi fedeli, ha voluto onorarmi.




Francesco Chieppa e il ruolo dell’Arte nella conoscenza dell’Uomo e del Mondo

Lo sforzo della Scienza è essenzialmente indirizzato alla comprensione del fenomeno, e le sue ‘armi’ sono quelle della logica. Nulla, essa può dirci in merito alla cosa in sé.
La Filosofia, dal suo canto, non si stanca di ‘affondare’ ripetutamente, nelle viscere della Metafisica, la sottile lama speculativa che le è propria, nella speranza di riuscire a far emergere in superficie qualche goccia di ‘sangue di verità’; ma, anche quando ciò accade, le ‘stille’ istantaneamente si dissolvono al ‘calore’ del fuoco concettuale che le avviluppa, lasciando appena miseri indecifrabili resti.
Tocca dunque all’Arte, l’estenuante compito di cogliere il noùmeno, magari spiraleggiandovi attorno, nel tentativo disperato di ‘stringere il cappio’ attorno ad un punto senza dimensione, forse inafferrabile.
E se la Logica rimane il mezzo più affidabile per muoversi sul ‘contorno’ delle cose, occorre a questo punto convenire sul fatto che è l’Estetica a doversi assumere il ruolo di ‘sommergibile’ atto all’esplorazione del ‘fondo buio’. Schopenhauer, quasi due secoli e mezzo or sono, aveva visto giusto. Difatti, le stesse neuroscienze, oggi, confermano che talune stilizzazioni proprie dell’arte figurativa del Novecento (il riferimento implicito è, in primis, a Picasso) inducono una sovrastimolazione dell’apparato percettivo al punto da riuscire a tirar fuori, dalla varietà bella ma fuorviante che inonda i sensi, un qualcosa che, per semplicità, potremmo assimilare alle Idee platoniche.
Il vero artista, è dunque sacerdote (ovvero, intermediario) nel ‘tempio sacro’ dell’ Estetica, e la sua arte è mera traduzione frammentaria di una personale esperienza ontologico-mistica di carattere olistico. Ciò, essenzialmente, distingue l’Arte dal ‘buon artigianato’, il quale è nient’altro che ricerca del bello scevra da ogni pretesa di travalicare la soglia dell’intellegibile.
Ebbene, in tale abbozzo teorico, ove assimilo il ‘fare arte’ ad una vera e propria missione ontologica, l’opera di Chieppa assolve egregiamente il suo compito. Intanto perché l’uomo-Francesco, sovente, viene fuori spossato dalla ‘follia creativa’ che lo ‘possiede’; e non di rado stupito, quando il suo stesso lavoro gli si palesa agli occhi della ragione. E poi perché egli è un innovatore, di quelli che incidono in maniera significativa sulla propria ‘disciplina’. Infatti, dopo essere riuscito ad emergere all’interno degli schemi canonici, ha sentito il bisogno (e il dovere) di andare oltre, arrivando a fare ciò che, di primo acchito, potrebbe sembrare quanto di più assurdo si possa osare in seno alle ‘leggi’ del neo-espressionismo: ovvero, infrangere la ‘barriera’ del colore. Così, ad esempio, nella vasta serie di dipinti dedicati alla Shoah (tre dei quali presenti in questo catalogo) il ‘linguaggio’ è bicromatico e consta semplicemente di linee azzurre e sfondi arancio (o gialli), ma il risultato è straordinario: l’orrore emerge e soffoca ancor prima che si riesca a prenderne consapevolezza.
Dinanzi ad un dipinto di Francesco Chieppa, non occorre ‘capire’. Il messaggio arriverà con tanta più forza e pregnanza quando più ci si renda ‘assetati di senso’, mettendo da parte il filtro della razionalità.
Occorre semplicemente ‘sentire’.
I più riescono a sfiorarlo, questo stato di passività ricettiva, arrivando a cogliere, a tratti, nelle tele, l’essenza forse davvero noumenica che esse nascondono; quasi si trattasse della ‘tridimensionalità’ celata negli stereogrammi: nitida e suggestiva, ma subito evanescente quando la messa a fuoco torni ad essere tentata dalla matassa incomprensibile di colori e segni.
Alcuni, invece – pochi fortunati, a dire il vero – sono riusciti a farlo proprio, quello stato estatico, per una frazione di tempo sufficiente a che il mistero potesse riversarsi nelle loro coscienze. Non v’erano parole per esprimere l’emozione. La verità che straripava con prepotenza dalla parte più intima del loro essere era di fatto incomunicabile. E così, semplicemente, hanno pianto.

Gianrocco Guerriero
(scrittore e collaboratore de “la Nuova del Sud”)

Tuesday, January 15, 2008

A Genzano prendono il via le celebrazioni per la ricorrenza di Sant’Antonio Abate, protettore del paese

Sono iniziati i rituali che culmineranno, il 17 gennaio, nei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio Abate, protettore del paese.
Ogni sera, infatti, a partire dallo scorso martedì, è in programma una messa con novena presso la chiesa Maria SS. della Grazie, ove è custodito un busto del santo egiziano, che, seguendo un’antica usanza contadina, viene portato in processione, a scopo propiziatorio, nel corso delle primavere poco piovose.
Mercoledì prossimo, giorno della vigilia, prenderanno già ad intensificarsi gli eventi: dopo la solita celebrazione eucaristica delle 18, cui seguirà la benedizione col SS. Sacramento, verrà acceso il classico falò nello spiazzale attiguo alla chiesa; ed assieme a quello ‘sacro’, verrà soddisfatto anche il desiderio ‘profano’ dei partecipanti-fedeli, grazie ad un apposito stand ove sarà possibile gustare panini alla porchetta. Vale la pena di ricordare che il maialino è appunto uno dei simboli atti ad identificare il Santo: il motivo è da addursi essenzialmente al fatto che gli Ospedalieri di S. Antonio (ordine monastico fondato da due nobili i quali si dichiararono guariti dall’ergotismo grazie all’intercessione dell’eremita) allevavano maiali liberi di pascolare ovunque nelle campagne sotto il dominio delle signorie medievali.
Infine, il 17 si inizierà già dalle 11 con una messa, cui farà seguito il rito di ‘ringraziamento’degli agricoltori, quindi una processione. A conclusione della quale il parroco benedirà gli animali, le macchine agricole, il fuoco e i campi. Le celebrazioni riprenderanno alle 18 ancora con una messa, stavolta presieduta dall’arcivescovo G. Ricchiuti, e si concluderanno in Piazza Duca D’Aosta con i fuochi pirotecnici cinesi della Premiata ditta Giovanni Padovano.
L’organizzazione è a cura del Comitato Festa Maria SS. delle Grazie 2008/9, appena insediatosi, e della stessa Parrocchia.


La figura dell’ abate Antonio, gioca, almeno per due motivi, un ruolo cardine, nella storia della Chiesa.
Il primo è che quando egli nacque (intorno al 251, nell’Alto Egitto), i cristiani erano generalmente mal visti: spesso si ritrovavano costretti a vivere appartati oppure a rischiare (e nei non rari casi di fanatismo, ad optare per ) un tragico martirio; quando invece morì, dopo ben 105 anni di vita meditativa, il loro culto era già stato liberalizzato da Costantino da quasi mezzo secolo (Milano, 313), e di lì a poco Teodosio avrebbe proclamato (Tessalonica, 380) ‘religione di Stato’ quella cristiana.
Il secondo ha invece a che fare con la prassi ascetica che egli fu fra i primi ad inaugurare (monachesimo) e che prevedeva un severo ritiro dal mondo. ‘Abate’, infatti, nel suo originario significato non ha nulla a che vedere con l’accezione ‘gerarchica’ consolidatasi in epoca medievale, ma sta a sottolineare piuttosto il superamento della prova di ‘introspezione’ alla quale alcuni religiosi si sottoponevano con severità nel deserto.
Tanta notorietà del Santo è essenzialmente dovuta ad una pittoresca biografia tramandataci da Anastasio di Alessandria, il quale lo conobbe nel 355 e lo elevò a simbolo di una cristianità che, ormai impostasi socialmente, non poteva che continuare a ‘lottare’ contro i pericoli nascosti nel profondo delle ‘anime individuali’.
Interessante, a tal proposito, la concezione dei ‘demoni’ propria di Antonio, secondo la quale essi (comunque facenti parte della Creazione) non hanno nessun significato al di fuori della ‘natura umana’ e bisogna imparare a ‘combatterli’ durante i lunghi periodi di solitudine forzata, quando acquisiscono il massimo della loro ‘forza’. Quindi, una sorta di giustificazione teorica alla vita eremitica quale percorso di purificazione spirituale contro un Male, di natura quasi psicologica, che viene ‘dal di dentro’; e finalizzata al conseguimento della autorità necessaria per trasmettere i valori significanti tramite la predicazione e l’insegnamento, oltre che al riscatto della propria coscienza.
Dopo la morte del Santo, le spoglie, subito venerate, furono soggette a svariate peregrinazioni, finché, nell’XI sec., approdarono in Francia. Da allora si diffuse la sua fama di guaritore dall’ergotismo (‘erpes zoster’, meglio noto come ‘fuoco di Sant’Antonio’); ed è il fuoco assieme ad un maialino, un bastone ed un libro (quello della Natura) diventarono simboli distintivi del suo potere.


Una provvidenziale nevicata il 17 gennaio 554 salva Iénzano dall’invasione dei greci-bizantini
Genzano, intorno al 554 d.C., doveva essere un posto sufficientemente isolato e lontano dalle mire espansionistiche dei popoli che, in un’epoca di indiscutibile instabilità socio-politica, si contendevano le sorti dell’attuale Italia. Eppure il periodo è critico, di profondo mutamento; niente può darsi per scontato. Ci troviamo infatti in piena epoca giustiniana. L’imperatore d’oriente, appena un anno prima, ovvero nel 553, è riuscito a strappare la penisola ai Goti, al prezzo di un ventennio di duri combattimenti. Cosicché, soprattutto nei territori del Sud, imperversano arroganti turbe di greci-bizantini, ‘dopate’ dall’entusiasmo della vittoria.
Una di queste, appunto, prende di mira l’allora piccolo borgo di Genzano (Iénzano), ma è inaspettatamente ostacolata dalle difese naturali (tre valloni) e strategiche (due castelli) a protezione dell’abitato. Intestarditisi, gli assalitori, dopo aver ricevuto rinforzi, decidono di ‘spezzare’ la resistenza portando un attacco dalla vicinissima collina di Monte Freddo, con l’ausilio di apposite ‘macchine belliche’. Non hanno però fatto i conti con l’inflessibile volontà degli uomini del posto e … con l’intervento di un imprevedibile ‘deus ex machine’.
Infatti, non essendovi stati cenni di resa, l’attacco definitivo viene programmato per la mattina del 17 gennaio. Ma di notte una nevicata, tramandata nella leggenda come ‘fuori dal comune’ finanche per la stagione, seppellisce letteralmente gli apparati bellici già spianati e causa inevitabili disagi all’interno dell’ accampamento nemico, di fatto ‘congelato’. Il maltempo persiste per circa un mese e convince i bizantini, seppure a malincuore, a sciogliere l’assedio ed a ‘sfogare’ la sete di conquista sulla non lontana Oppido.
Ora, il 17 gennaio ricorreva la morte (avvenuta nel 356) del monaco eremita Antonio, presto santificato e divenuto famoso in tutto il mondo cristiano. Ci vuole poco, a metter su nessi causa-effetto, in tali casi; dunque, senza esitazioni il Santo venne acclamato protettore del paese.
Il racconto, tramandato oralmente, è stato messo ‘nero su bianco’ da Ettore Lorito nel 1949, nel suo autorevole ‘Genzano di Basilicata’.

Gianrocco Guerriero

Sunday, January 06, 2008

Il presepe dei piccoli artisti

Presso la scuola secondaria di primo grado dell'Istituto Comprensivo di Genzano di Lucania, è stato allestito un presepe, realizzato dagli alunni, durante il laboratorio di artistica, guidati dal prof. Silvestro Valzano.
I piccoli artisti, hanno cercato di ricreare attraverso una suggestiva scenografia il luogo dove molti anni fa nacque Gesù Bambino.














Gruppo Editing

Friday, January 04, 2008

Ninna nanna genzanese

E pur io voglio venì iam iam iam (2 volte)
A visitar Gesù alla capanna
E at ca non teng la cffiella e a Gesù Bambin l’aggia dunaà.
Pcchè la mamm e tanta putrella e gliela mett quann chiagn chiagn.
E pur io voglio venì iam iam iam (2 volte)
A visitar Gesù alla capanna
E at ca non teng la cammisella e a Gesù Bambin l’aggia dunaà
Pcchè la mamm e tanta putrella e gliela mette quann chiagn chiagn.
Classe 4 A,B,C

NU POSTE VECINE A ME’ME

Gesù creature
Chiu peccenène de mème
Mie bionde fratelline
Me vu vecine a te?
Ie stanche cette e quiete
Vecine au litte tuie
Sènza ruugliarte, cuntènte
De vederte nu pecche.
Ma cumeie? Sènza annacator?
Sop la pagl a dorm?
Manc la cupert,…nint!
Sint, ent u lit mie
Nu pec de post nceie.
Oh, fratcllin mie,
Vin a dorm cche meme.

Gesù piccolino
Più piccolo di me
Mio biondo fratellino,
mi vuoi vicino a te?
Io starò zitto e cheto
Accanto al tuo lettino
Senza svegliarti, lieto
Di guardarti un pochino.
Ma come? Senza culla?
Sulla paglia a dormire?
Né una coperta,…nulla!
Senti, nel letto mio
Un po’ di posto c’è.
Oh, fratellino mio,
vieni a dormir con me.
4 A B C