ISTITUTO COMPRENSIVO DI GENZANO DI LUCANIA

Una coomunity di apprendimento centrata sui problemi della scuola.

Tuesday, January 22, 2008

Sorpresa di Chieppa al Vescovo Ricchiuti, giovedì sera in chiesa, in occasione della festa di S. Antonio Abate

Serata svoltasi sotto una cappa di piacevole ‘attesa’, quella della celebrazione vespertina in onore di Sant’Antonio Abate, nella chiesa di Maria SS. delle Grazie. E l’epilogo non ha affatto deluso i fedeli, numerosi a tal punto da essere costretti a rimanere in gran parte in piedi.
A dire il vero, il Vescovo Giovanni Ricchiuti – invitato per l’occasione da don Gaetano Corbo – era già egregiamente riuscito ad accaparrarsi l’attenzione e le simpatie dei presenti (se ancora ce ne fosse stato bisogno), con un’ incisiva omelia incentrata sia sulla figura del santo ‘protagonista’ che sull’attuale diatriba scienza-fede scatenatasi nei giorni scorsi a Roma; dimostrando, in particolare un grande rispetto per i non-credenti (che non può non suscitare reciprocità), nonché sincero desiderio di ‘dialogo’ nel tentativo di riuscire a costruire un futuro su solidi basi comuni, della cui esistenza si è dichiarato convinto.
Poi, a fine messa, il ‘mistero’ che era stato volutamente mantenuto fino alla fine, è stato svelato. E così, dopo essere stato omaggiato, dal Comitato Festa, di una preziosa icona della Madonna, Monsignor Ricchiuti ha potuto ammirare il dono che il Maestro neo-espressionista originario di Genzano (purtroppo non presente per impegni a Milano) aveva riservato per lui: un ritratto in puro stile-Chieppa, in cui la figura del Vescovo si staglia avvolta da pennellate policromatiche che paiono abbracciarlo. E, difatti, il titolo dell’opera è “L’abbraccio”. La tela, dopo essere stata mostrata al pubblico, gli è stato consegnato dalle mani di Natale Bovenga, curatore della mostra (nonché del rispettivo catalogo) “La Danza della Vita”, che sarà inaugurata ad Acerenza, il prossimo 16 marzo, nelle sale del Museo Diocesano.


Intervista (in chiesa, dopo la messa, in pubblico) al Vescovo Giovanni Ricchiuti

Eccellenza, è ben noto che l’arte occidentale nasce essenzialmente come ‘arte sacra’. Poi, in qualche modo, si distacca dalla tematica religiosa divergendo per altre vie. Eppure, il Novecento, artisticamente parlando, sembra essersi riconciliato con una certa forma di ‘spiritualità’ intesa in senso lato, forse di natura un po’ panteista. Mi riferisco, in particolare, alla Metafisica di De Chirico ed all’opera di autori quali Magritte e Dalì. E di quest’ultimo, basti un esempio: la famosa rappresentazione della crocifissione mediante il contemporaneo utilizzo di due prospettive di fatto incompatibili, ma probabilmente volte a ‘centrare’ un bersaglio posto al di là della soglia percettiva razionale.
Ebbene, alla luce di tutto questo, come pensa stia evolvendosi, in questo primo secolo del III millennio, il rapporto tra l’arte ed il ‘sacro? E, nella fattispecie, come ha inteso l’approccio del neo-espressionista Francesco Chieppa al tema?


Bene. Innanzitutto vorrei palesare questa mia impressione: Genzano sembra avere una interessante peculiarità, che è quella di riuscire a ‘partorire’ persone destinate a lasciare al mondo una importante traccia della propria genialità. E Chieppa ne costituisce un esempio eclatante. Accolgo sempre con piacere l’invito a partecipare alle vostre celebrazioni, e l’affetto palesatomi mi gratifica e va a rinforzare il mio congenito buonumore. Soprattutto in questi giorni, in cui tutti i rappresentanti della Chiesa non possono non sentire sulle proprie spalle il rammarico del Papa, sulla cui persona è piombato un astio che, su un più elevato piano dialettico, non ha motivo d’esistere. Ecco dunque, che la mia risposta alla tua domanda mi offre l’occasione di far capire come, in fondo, la ‘conoscenza’ e la ‘ricerca’ possano essere riguardate in maniera tale da non poter più costituire un fattore discriminante fra Scienza e Fede.
Sento di poter affermare, quindi, che se è vero che l’Arte – la quale effettivamente in Occidente nasce come ‘arte sacra’ – si è in seguito più o meno allontanata dal soggetto di partenza, è pur vero che, ad una più attenta analisi, il risultato non è mutato. Per la semplice ragione che l’artista, nel suo ‘operare’ (col pennello, sulla pietra, con una penna sulla pagina bianca o con le note), non fa altro che cercare di avvicinarsi quanto più possibile, magari in maniera asintotica, all’idea di Bello; la sua è una ricerca di perfezione nel regno dell’Estetica. ‘Territorio’, quest’ultimo di incontro non conflittuale fra credenti e non-credenti. Forse unico vero punto d’intesa dal quale poter ricominciare un dialogo. È ovvio, naturalmente, che per noi cristiani il Bello è univocamente identificabile con Dio. E Francesco Chieppa sembra essere per molti versi allineato con questo punto di vista.
Davvero condivisibile, anche da un punto di vista prettamente laico.


Ed ora una domanda più prosaica, ma inevitabile. Dunque: come è approdato Chieppa al museo diocesano, e qual è il ruolo in tutto questo di Natale Bovenga, attento curatore del catalogo e della mostra?

Comincio con Natale. È una persona insistente; che non lascia respiro. Lo dico in senso positivo, naturalmente. Tiene costantemente sotto controllo tutto, e, grazie alla sua collaborazione, siamo certi che tutto si svolgerà per il meglio.
In quanto a Francesco, l’ho incontrato per la prima volta lo scorso agosto, durante i festeggiamenti in onore di Maria SS. delle Grazie, in questa chiesa. In quella occasione ci fu una sua ‘performance’ davanti ai fedeli, dalla quale venne fuori una originale ‘Sacra Famiglia’ che colpì il mio interesse. Quindi visitai la sua mostra, fui ‘catturato’ dal titolo che le era stato dato, ed a mia volta invitai l’artista ad Acerenza, affinché potesse dare ‘un’occhiata’ al Museo Diocesano da poco inaugurato. Da lì a concepire l’evento che prenderà il via il 16 marzo prossimo, c’è voluto poco.
Ma ora, saluto con affetto tutti voi e, soprattutto, anche se non è qui presente, ringrazio il Maestro Chieppa per il gradito dono del quale, a mezzo di Natale, di questa Parrocchia e dei suoi fedeli, ha voluto onorarmi.




Francesco Chieppa e il ruolo dell’Arte nella conoscenza dell’Uomo e del Mondo

Lo sforzo della Scienza è essenzialmente indirizzato alla comprensione del fenomeno, e le sue ‘armi’ sono quelle della logica. Nulla, essa può dirci in merito alla cosa in sé.
La Filosofia, dal suo canto, non si stanca di ‘affondare’ ripetutamente, nelle viscere della Metafisica, la sottile lama speculativa che le è propria, nella speranza di riuscire a far emergere in superficie qualche goccia di ‘sangue di verità’; ma, anche quando ciò accade, le ‘stille’ istantaneamente si dissolvono al ‘calore’ del fuoco concettuale che le avviluppa, lasciando appena miseri indecifrabili resti.
Tocca dunque all’Arte, l’estenuante compito di cogliere il noùmeno, magari spiraleggiandovi attorno, nel tentativo disperato di ‘stringere il cappio’ attorno ad un punto senza dimensione, forse inafferrabile.
E se la Logica rimane il mezzo più affidabile per muoversi sul ‘contorno’ delle cose, occorre a questo punto convenire sul fatto che è l’Estetica a doversi assumere il ruolo di ‘sommergibile’ atto all’esplorazione del ‘fondo buio’. Schopenhauer, quasi due secoli e mezzo or sono, aveva visto giusto. Difatti, le stesse neuroscienze, oggi, confermano che talune stilizzazioni proprie dell’arte figurativa del Novecento (il riferimento implicito è, in primis, a Picasso) inducono una sovrastimolazione dell’apparato percettivo al punto da riuscire a tirar fuori, dalla varietà bella ma fuorviante che inonda i sensi, un qualcosa che, per semplicità, potremmo assimilare alle Idee platoniche.
Il vero artista, è dunque sacerdote (ovvero, intermediario) nel ‘tempio sacro’ dell’ Estetica, e la sua arte è mera traduzione frammentaria di una personale esperienza ontologico-mistica di carattere olistico. Ciò, essenzialmente, distingue l’Arte dal ‘buon artigianato’, il quale è nient’altro che ricerca del bello scevra da ogni pretesa di travalicare la soglia dell’intellegibile.
Ebbene, in tale abbozzo teorico, ove assimilo il ‘fare arte’ ad una vera e propria missione ontologica, l’opera di Chieppa assolve egregiamente il suo compito. Intanto perché l’uomo-Francesco, sovente, viene fuori spossato dalla ‘follia creativa’ che lo ‘possiede’; e non di rado stupito, quando il suo stesso lavoro gli si palesa agli occhi della ragione. E poi perché egli è un innovatore, di quelli che incidono in maniera significativa sulla propria ‘disciplina’. Infatti, dopo essere riuscito ad emergere all’interno degli schemi canonici, ha sentito il bisogno (e il dovere) di andare oltre, arrivando a fare ciò che, di primo acchito, potrebbe sembrare quanto di più assurdo si possa osare in seno alle ‘leggi’ del neo-espressionismo: ovvero, infrangere la ‘barriera’ del colore. Così, ad esempio, nella vasta serie di dipinti dedicati alla Shoah (tre dei quali presenti in questo catalogo) il ‘linguaggio’ è bicromatico e consta semplicemente di linee azzurre e sfondi arancio (o gialli), ma il risultato è straordinario: l’orrore emerge e soffoca ancor prima che si riesca a prenderne consapevolezza.
Dinanzi ad un dipinto di Francesco Chieppa, non occorre ‘capire’. Il messaggio arriverà con tanta più forza e pregnanza quando più ci si renda ‘assetati di senso’, mettendo da parte il filtro della razionalità.
Occorre semplicemente ‘sentire’.
I più riescono a sfiorarlo, questo stato di passività ricettiva, arrivando a cogliere, a tratti, nelle tele, l’essenza forse davvero noumenica che esse nascondono; quasi si trattasse della ‘tridimensionalità’ celata negli stereogrammi: nitida e suggestiva, ma subito evanescente quando la messa a fuoco torni ad essere tentata dalla matassa incomprensibile di colori e segni.
Alcuni, invece – pochi fortunati, a dire il vero – sono riusciti a farlo proprio, quello stato estatico, per una frazione di tempo sufficiente a che il mistero potesse riversarsi nelle loro coscienze. Non v’erano parole per esprimere l’emozione. La verità che straripava con prepotenza dalla parte più intima del loro essere era di fatto incomunicabile. E così, semplicemente, hanno pianto.

Gianrocco Guerriero
(scrittore e collaboratore de “la Nuova del Sud”)

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