ISTITUTO COMPRENSIVO DI GENZANO DI LUCANIA

Una coomunity di apprendimento centrata sui problemi della scuola.

Thursday, December 27, 2007

SOLIDARIETA' fra i bimbi di "mondi" diversi

Le insegnanti della Scuola Primaria per l’Infanzia “Gianni Rodari”, hanno saputo ben coniugare questo Natale 2007 con un’iniziativa di solidarietà mirata ad alleviare le sofferenze di bambini, meno fortunati dei nostri, dall’altra parte dell’equatore.
Difatti, martedì sera, nell’Auditorium dell’attigua Scuola Media “Angelo Roncalli”, hanno messo su un presepe vivente con ‘protagonisti’ gli alunni dell’asilo. E l’evento oltre a fungere da ottimo mezzo didattico, è servito a sensibilizzare gli adulti in merito ad una lodevole iniziativa della Caritas di Genzano in Burundi. Ove un gruppo di suore francescane missionarie sta letteralmente salvando la vita a tanti bambini altrimenti destinati a soccombere per malnutrizione.
Già alcune settimane or sono, erano state mostrate ai ‘piccoli’, incuriositi ed attenti, alcune immagini dei loro coetanei africani, chiedendo loro di parlarne in famiglia, allo scopo di renderli attivamente partecipi in seno all’ ‘opera di bene’ proposta. Ed in seguito erano stati collocati due salvadanai della Caritas nei locali della Scuola.
Cosicché, martedì sera, alla fine della rappresentazione posta in atto dai propri pargoli, genitori e parenti (la sala era gremita), hanno ascoltato con molta attenzione la breve conclusione sul tema del Dirigente Scolastico Donato Pepe; il quale, dopo aver elogiato i ‘suoi’ bambini, ha tenuto a sottolineare l’importanza di un gesto dal quale possa scaturire una ‘cristianità’ vera, fondata sull’attenzione alla sofferenza e la disponibilità ad aiutare il prossimo. Altrimenti la ‘messa in scena’ dinanzi alla quale ci si era appena emozionati, non avrebbe avuto più ragione d’essere perpetuata. Poiché ogni Natale, ‘dietro’ la rievocazione della nascita di un ‘bimbo-simbolo’, migliaia di bambini in carne ed ossa, nel silenzio e nell’indifferenza del mondo, purtroppo muoiono. E chi si professa ‘cristiano’, dovrebbe riflettere su questo dato di fatto più dei tanti non-credenti i quali, tuttavia, dimostrano d’essere tutt’altro che insensibili alle ‘tragedie’del mondo.
Dopo tali considerazioni, c’è da scommetterci, quei salvadanai saranno stati stracolmi.
Gianrocco Guerriero




Il nostro Natale
Noi alunni delle classi quarte, abbiamo deciso quest’anno di festeggiare un Natale…diverso.
Venerdì, 21 dicembre, ci siamo recati alla “Casa di riposo” per portare un po’ di serenità e della nostra gioia ai nonni ospiti di quella struttura. Abbiamo vissuto l’esperienza come un gesto di solidarietà, di condivisione, superando e andando oltre quello che la società intorno a noi ci descrive e ci offre: egoismo, consumismo, frenesia nel regalare e ricevere, solitudine.
Il nostro intento, è stato quello di tornare al significato vero del Natale, ed abbiamo offerto ai nostri anziani felicità, auguri, un sorriso, un po’ del nostro tempo e la condivisione della nostra gioia.
Significativo è stato il pensiero di alcuni di noi nello scrivere una letterina indirizzata ai “nonnini e nonnine soli”; ci siamo esibiti con recitine, poesie, canti che li hanno compiaciuti, commossi. Grande e sentito è stato il ringraziamento rivoltoci da alcuni nonni e i loro occhi lucidi ci hanno ripagati dell’impegno e dell’attenzione che abbiamo avuto nei loro confronti.
Auguri di un felice Natale e sereno anno nuovo

Gli alunni delle classi
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IL PICCOLO DARIO E BABBO NATALE

Dario ha dieci anni, frequenta la quinta elementare ed è convinto dell’esistenza di Babbo Natale. Io e lui, sin da quando aveva circa tre anni (e già parlava bene lasciando presagire una naturale predisposizione per il pensiero astratto) passavamo molte ore assieme, senza mai annoiarci: fra discorsi, piccole magie e fantasticherie di ogni sorta. Per essere solo un nipotino acquisito, lo sentivo già legato a me da troppe ‘affinità elettive’, magari spiegabili con la naturale distribuzione gaussiana, nella specie, di determinate caratteristiche secondarie più o meno (s)vantaggiose per la sopravvivenza. Peculiarità caratteriali che, grazie al condizionamento empatico di qualche ‘essere affine’, riescono a manifestarsi più precocemente.
Il legame che mi unisce a Dario, dunque, per certi versi, è molto più profondo di talune parentele reali. Del resto, se qualcuno dovesse chiedermi quali siano stati, nel tempo, i miei migliori amici, coloro che mi hanno dato di più, mi ritroverei a dover rispondere “Spinoza, Schopenhauer, Platone, Mann, Hesse, …”, giusto per citarne qualcuno. Tutte persone conosciute solo attraverso parole scritte su asettiche pagine bianche; eppure per me fondamentali anche a livello di crescita emotiva, poiché i rapporti fra gli uomini, ancorché unilaterali, quando sono autentici se ne infischiano dell’età, dello spazio e degli ‘oceani’ di tempo che li separano.
Ma torniamo a Dario. Evidentemente il tema di Babbo Natale con lui non lo affrontavo da diversi anni; me ne sono reso conto alcuni giorni fa (scrivo a metà novembre), quando tirando fuori dal borsello, in sua presenza, il mio Moleskine (un noto, funzionale ed elegante taccuino) e notando che egli sgranava gli occhi osservandolo, l’ho rassicurato che per Natale gliene avrei regalato uno uguale; e per tutta risposta, mi sono sentito dire: “Che c’entri tu!, vuoi dire che Babbo Natale, me lo regala?”.
Devo confessare di aver temporeggiato non poco, prima di replicare. Mi sono tornati in mente gli occhi furbetti della sua sorellina Diana, di due anni più piccola, che già tradiscono una serena consapevolezza di quella che potrebbe essere la ‘realtà’ dietro al ‘rituale’, seppure unita al piacere di ‘stare al gioco’. Ed ho ripercorso le tappe salienti del mio personale immaginario infantile: per anni fui roso da dubbi e lacerato da incoerenze, che ‘ i grandi’ non si preoccupavano più di tanto di mascherare, in merito alla figura di Babbo Natale; arrivando persino a fare la spia dall’uscio della mia cameretta, nella notte fra il 24 ed il 25 dicembre, con l’intenzione di sorprenderlo in flagrante.
Poi, dopo questo breve excursus nei mari confusi della memoria, ho guardato Dario negli occhi ancora spalancati e resi più luminosi dai suoi occhialini alla Harry Potter, e mi sono scusato con lui, rassicurandolo sulle mie intenzioni: ovvero che avrei chiesto a Babbo (come lo chiama da sempre in tono amichevole) di portargli il piccolo dono. Quindi, cingendogli le spalle con un braccio, e con espressione complice ma pensierosa, gli ho detto che comunque qualche problema di carattere prettamente logico, sulla figura di Babbo Natale, era arrivato il momento di prenderlo in considerazione. Che abiti al Polo Nord, come si è premurato di ricordarmi, mi è parso giusto poterglielo accordare senza obiezioni. “Ma – gli ho chiesto –, come fa il pover’uomo a consegnare tutti quei doni in giro per il mondo, quand’anche concedendogli il vantaggio dei fusi orari, e quindi in appena due notti?”. Così gli ho prospettato l’ipotesi che egli, in qualche modo, possa riuscire ad avvalersi delle leggi della Teoria della Relatività di Einstein, al fine di poter operare in tutta tranquillità a ‘tempo dilatato’; oppure…, stavo continuando, intento a sciorinare qualche altra stramberia teorica della fisica dell’ultimo secolo, quando lui, con l’entusiasmo di un piccolo scienziato ansioso di esporre le sue prime scoperte, mi ha bloccato per dirmi che il problema lo aveva già risolto: in breve, mi ha spiegato che Babbo Natale, tramite un processo che potremmo definire di auto-clonazione, non fa altro che proiettare la propria coscienza in innumerevoli immagini di sé stesso (che evidentemente poi ‘si lasciano scivolare’ in tanti folti gruppi lungo i meridiani), in maniera tale da poter essere presente ovunque quasi nello stesso istante. Ed a tal punto, non mi è rimasto che ammettergli la plausibilità della teoria e rimandare ad altri tempi una eventuale opera di dissuasione.
Del resto, mi sono detto una volta rimasto solo, certe acrobazie teologiche medievali (prove ontologiche comprese), non erano meno difficili da far accettare al comune buonsenso. E poi, quante volte ancora oggi ci si ostina a costruire impalcature intellettuali, per cercare di nascondere a sé ed al mondo che, il più delle volte, ‘il Re è nudo’?
La mente umana non è certo avulsa da concetti quali l’ ‘onniscienza’ e l’ ‘onnipresenza’, necessari a Babbo Natale per carpire i desideri nascosti nelle menti dei bambini ed esaudirli tutti in una notte. Inoltre, la Meccanica Quantistica e la Teoria delle Stringhe, nel loro tentativo di dare una ‘forma’ al mondo, sono ben più complesse della spiegazione di Dario ai misteri della magica notte dicembrina. Che, peraltro, ben si inserirebbe in una visione olografica dell’universo ‘à la David Bohm’.
Perché, dunque lasciare un calderone stracolmo di credenze immutato, togliendo solo a Dario, il suo amato Babbo Natale?
Anzi, nel formulare a tutti voi i miei migliori auguri, mi viene spontaneo, a questo punto, invitarvi a mettere nero su bianco i desideri più impellenti.
Mistero in più, mistero in meno, non si sa mai…
Gianrocco Guerriero

Babbo Natale e i bambini della scuola dell'infanzia di via E. Fermi

Friday, December 21, 2007

Natale nelle regioni

In Italia sopravvivono molte tradizioni natalizie, molto amate dalla gente e si ripetono puntualmente ogni anno. Hanno origini diverse, ma tutte vogliono sottolineare l’importanza della festa.
In LOMBARDIA si racconta che Toni, un distratto garzone di pasticceria, mescolò due impasti diversi e ne uscì un dolce chiamato “pan di Toni”: il panettone tradizionale.








In LAZIO pastori in costume “feferari” suonano le cornamuse e passano per le vie del centro dietro un carro che ospita una capanna con Maria , San Giuseppe e Gesù Bambino.







Nel MOLISE vive ancora l’usanza di tenere la porta di casa aperta e la tavola imbandita fino al ritorno dalle chiese, dopo aver partecipato alla Messa di Mezzanotte. Una leggenda, infatti , dice che la Madonna, san Giuseppe e il Bambinello hanno così modo di scaldarsi, di nutrirsi e di benedire la casa.










In EMILIA ROMAGNA la sera della vigilia è tradizione preparare i famosi” tortellini”, piatto tipico del giorno di Natale. Al suono delle campane che annunciano la Messa di Mezzanotte, la preparazione della pasta deve essere terminata affinché tutti possano partecipare alla Messa .

In ABRUZZO nelle campagne, alla vigilia di Natale, viene posto sopra il focolare “lu cocciu” cioè il ceppo da ardere. Il ceppo ha due significati simbolici: il fuoco è segno di vita e il legno che arde rappresenta le cose brutte che si vogliono dimenticare.

In SARDEGNA la Messa di mezzanotte si chiama “missa e puddo” cioè “Messa del gallo” perché termina al canto del gallo.

A Genzano, a Natale si addobbano i balconi con luci colorate per rendere le strade allegre e festose.
Nelle case si addobbano grandi alberi e bellissimi presepi.
La notte di Natale , quasi tutti partecipano alla Santa Messa per celebrare la nascita di Gesù Bambino. Il giorno di Natale è usanza riunirsi a casa di un familiare e mangiare tante cose buone, come i panettoni, le cioccolate e i pasticcini. I nonni, invece, con gioia ci preparano i dolci che loro mangiavano da bambini e che venivano preparati dalle loro mamme con le poche cose che avevano a loro disposizione., come il calzone che è una torta ripiena di uva, noci, cipolla e alici; le crespelle ricoperte di vino cotto e miele; le pettole ricoperte di zucchero. Ogni volta che il nonno ne assaggia uno, ricorda i suoi Natale da bambino e mi racconta di come lo attendesse con gioia, perché così avrebbe avuto dei vestiti nuovi, un albero di Natale addobbato con noci e mandarini e un bel piatto di pasta asciutta con un pezzo di carne.
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Le tradizioni natalizie a Forenza
Le tradizioni del mio paese non sono tanto diverse dagli altri. Infatti, dall’ otto dicembre, giorno dell’Immacolata, cominciano ad addobbare le finestre e i balconi delle case, le strade con luci bianche e colorate. I negozianti anche loro addobbano i loro negozi. Nell’aria si sentono i canti, i profumi che vengono dalle case, dove le mamme e le nonne preparano dolci buoni e antichi: u’cazoun (il calzone è un dolce ripieno di cioccolata, fichi, miele, mandorle, noci ,zucchero,uva frescae uva sultanina),; li crist (che sarebbero dei roselloni fatti di pasta frolla e miele); r’ casatell (dei fagottini ripieni con crema di castagne). La notte Santa si va in chiesa per vedere il presepe e partecipare alla S. Messa. Il giorno di Natale chi non è andato la sera a messa, va il mattino. All’uscita della chiesa tutti si scambiano gli auguri. Sono feste che si trascorrono insieme ai parenti e si gioca a tombola, a carte e al gioco dell’oca. A capodanno c’è chi va al veglione e chi invece resta a casa a festeggiare in famiglia l’arrivo del nuovo anno.

ASPETTANDO IL Natale

Quando arriva Dicembre, tutti ci sentiamo emozionati e felici perché nell’aria c’è qualcosa di magico. E’ la magia del Natale fatta di SENSAZIONI, PROFUMI e COLORI. Le stade di ogni paese e città, si fanno belle con il luccichio degli addobbi natalizi. Le vetrine dei negozi si vestono a festa con fili dorati e argentati. Si vedono luci di tutti i colori che accendendosi a intermittenza sembrano fare l’occhiolino alla gente che passa frettolosa e allegra. Si vede anche qualche Babbo Natale che è ritornato al suo solito posto, sospeso alla ringhiera di un balcone sballottato dal vento gelido. Nelle case, nelle scuole ci si appresta ad allestire l’albero di natale ed il tradizionale Presepe.


Il Natale è ormai vicino e tutti aspettiamo gioiosi la nascita di Gesù.
Ma dove nasce Gesù?
Gesù nasce
nei nostri cuori,
nasce nel povero e nel ricco,
nelle carceri,
nelle catapecchie
e nelle splendide case.
Gesù nasce,
dove c'è bisogno di Lui,
dove c'è sofferenza e dolore,
dove c'è la guerra,
dove c'è indifferenza e solitudine.
Se Gesù nasce in questi luoghi
vuol dire che è Natale!
Gli alunni del laboratorio di
scrittura creativa classi III
scuola primaria.

IL COMPUTER

Già Blaise Pascal, nel 1642 aveva costruito una macchina calcolatrice meccanica di otto tasti usata dai civili. Militari, archeologi, uomini d’affari, giornalisti, linguistici, matematici, musicisti e diplomatici. Nel 1843 l’inglese Charles Babbage ideò il primo computer meccanico programmabile, con schede perforate, troppo complesso, però, per essere realizzato all’epoca. Il primo calcolatore elettronico l’ENIAC, fu costruito nel 1946 da J. Presper Eckert, Jr e Jhon Mauchly, ingegneri americani, negli Stati Uniti. La macchina, funzionava a valvole, ed era più grande di un appartamento. Tra gli anni 50 e 60, i calcolatori si diffusero nelle grandi aziende per compiere complesse operazioni matematiche. La svolta avvenne alla fine degli anni 60, con lo sviluppo del TRANSISTOR e la nascita del Personal Computer (PC) ovvero del computer per un solo utente. Piccolo relativamente poco costoso, di uso domestico, il PC ha conosciuto da allora una diffusione rapida e capillare ed è diventato così, un oggetto di uso comune. Le sue applicazioni sono sempre più basse: dalla scrittura ai videogiochi, dall’ascolto d musica alla multimedialità, dal disegno alla grafica, fino alla nascita di INTERNET che connette in rete milioni di computer nel mondo. L’accesso alla rete è possibile tramite l’abbonamento a un PROVIDER, un intermediario che fornisce vari servizi, tra i quali l’e-mail , cioè l’indirizzo di posta elettronica, attraverso un apposito programma si possono si possono visitare siti, cioè un insieme di pagine di informazioni (pagine web).

IL COMPUTER SMEMORATO
C’era una volta uno scrittore che voleva scrivere dei libri e guadagnare soldi. Un giorno, però, il computer andò in tilt, e lo scrittore disperato, andò nella foresta per cercare la fata Parolina. Quando arrivò nella foresta, incontrò una vecchina e le chiese:<> La vecchina si coprì il volto con un mantello e subito si trasformò nella dolce fata. Insieme si teletrasportarono dentro la casa dello scrittore. La fata guardò bene il computer e dopo un po’ disse:<> La fata lanciò subito un COPOSVIRUS e subito il virus se ne andò. Dopo un giorno il computer ritornò perfettamente come prima: le parole erano già pronte prima che lo scrittore le scrivesse, insieme agli aggettivi e alle metafore. Da quel giorno lo scrittore scrisse libri e guadagnò tanti soldi!
5 A

Il telefono cellulare

I telefoni cellulari furono introdotti intorno al 1980: in Svezia, dalla Erixon, in Finlandia dalla Nokia e negli Stati Uniti dalla ATET. Il primo sistema della telefonia mobile era basato sulla suddivisione del territorio in una serie di celle ognuna con una stazione ricetrasmittente. Nel 1992 è stato inaugurato il sistema G.S.M che, utilizza la tecnologia digitale nelle trasmissioni. Il G.S.M. si basa sul concetto che è la vera mobilità ed è data da una tessera a MICRO PROCESSORE che contiene i dati identificativi dell’utente e del su o codice personale inserendo la tesserina in un telefono qualunque e componendo un codice, il terminale viene abilitato perché il sistema riconosce l’utente e addebiterà la chiamata al possessore della tessera.
Il cellulare è composto esternamente da: un piccolo schermo a colori, nella parte superiore; una tastiera alfa-numerica. Nella parte inferiore, composta da dodici tasti più altri sei o otto che servono ad accettare chiamate, rifiutarle, selezionare opzioni e scorrere nel menù telefonico.
Il cellulare inoltre, può essere di varie dimensioni: ce ne sono di minuscoli, di grandi, di media misura e di altre forme. I colori dei cellulari vanno dai più sgargianti ai più cupi e dalle tonalità cromatiche più serie alle più vistose. Oggi, dei cellulari, più che un uso se ne fa un abuso: oltre a chiamare vengono usati per fare foto, video, navigare in internet, mandare messaggi e persino guardare la TV. Si è perciò perso il valore essenziale del telefono, cioè chiamare per necessità.



IL TELEFONO DISTURBATO

C’era una volta un cellulare che era stato regalato da poco tempo a un bambino di nome Mario. Quando andava in palestra aveva l’abitudine di lasciarlo sempre sul caminetto. Un giorno però venne disturbao da uno squillo. La mamma di Mario corse frettolosamente in cucina a rispondere. Dopo aver finito la telefonata, il cellulare piano piano si avvicinò a quello strano aggeggio e gli chiese:, Il cellulare dopo aver sentito queste parole, lo consolò, e così diventarono amici!



IL CELLULARE
Sono bello, utile
E non mi ritengo per niente futile.
Il mio nome è assai popolare
E mi chiamo cellulare.
Sono speciale
Perché il mondo
Giocando
Racchiudo
E schiudo
Faccio anche video, foto
E non solo:
la TV si può guardare
e messaggi si possono inviare;
si può ascoltare
anche la musica
tanti sono i generi
di oggi e di ieri.
Io, col cellulare
Altro posso fare
Ma soprattutto posso telefonare
E la voce di tutti ascoltare.


5 A


Il telefonino e le scarpe di Van Gogh
Cos’hanno in comune, vi chiederete, un paio di logore scarpe da contadina dipinte da Van Gogh ed un moderno telefonino, poniamo, l’ultimo modello superaccessoriato ed iperfunzionale?
Niente. Purtroppo, niente! E non per il banale motivo che un telefonino è un telefonino ed un vecchio paio di scarpe non è altro che un vecchio paio di scarpe. La diversità sulla quale vorrei focalizzare l’attenzione è molto più profonda e trascende quella strettamente legata alla funzione per la quale i due oggetti sono stati concepiti: riguarda, piuttosto, la loro diversa modalità di essere mezzo, ovvero il loro diverso rapportarsi a ciò che chiamiamo uso.
Sembra un gioco di parole, ma non lo è, come andremo subito a vedere.
Il paio di scarpe in questione -o meglio la loro rappresentazione figurativa- è analizzato da Martin Heidegger nei suoi Sentieri interrotti (titolo originale: Holzwege), precisamente nel primo capitolo del libro, in cui il grande filosofo tedesco si interroga a proposito dell’origine e dello scopo dell’opera d’arte. Ebbene, in estrema sintesi e semplificando al massimo, Heidegger si chiede se non possa essere l’opera d’arte la fonte a cui attingere per afferrare la verità che sta sotto all’apparire delle cose e, per verificarlo, prende a titolo d’esempio un paio di scarpe da contadina , scarpe apparentemente insignificanti, ma che rivelano inesorabilmente la loro usabilità, il loro essere un mezzo e non più di un mezzo.
La contadina –afferma Heidegger- nell’utilizzare quelle scarpe, durante il duro lavoro nei campi, non pensa ad esse, le dimentica. Ed è proprio in tale dimenticanza che risiede la verità dell’essere scarpe in quanto mezzo! In tal modo, quindi, a Van Gogh, nel suo dipinto, sarebbe riuscito di palesare la verità del banale oggetto d’uso quotidiano grazie alla nudezza di una rappresentazione che evoca l’uso e nient’altro che l’uso.
In quanto al telefonino, invece?
Beh, se per le scarpe forse vale ancora (nella maggior parte dei casi ed escludendo, naturalmente, le donne non contadine!) la dimenticanza heideggeriana, non altrettanto potrebbe dirsi a proposito del recente telefonino. Infatti, sarebbe possibile definire quest’ultimo un mezzo, quindi secondo il punto di vista sopra esposto possiederebbe la sua porzione di verità, allorquando noi riuscissimo a dimenticarci della sua esistenza durante l’uso (abuso?) che ne facciamo quotidianamente. Ma così non è! Il telefonino noi ce lo guardiamo, lo osserviamo in quanto oggetto, lo giudichiamo, lo condanniamo quando rimane indietro nel vortice del tempo tecnologico e lo sostituiamo ancora perfettamente funzionante.
Il telefonino, ci piace!
Ecco, dunque, qual è la vera differenza, quella più profonda, che intercorre fra quest’ultimo oggetto e la raffigurazione pittorica delle scarpe di Van Gogh: le scarpe sono un mezzo in quanto mezzo e questo è il succo della loro verità; il telefonino, invece, per come è concepito, al pari della stragrande maggioranza dei prodotti dell’era consumistica, non ha verità heideggeriana, è un semplice attributo dell’apparire.
Sia chiaro, mi annovero fra i peccatori, e chi si sente puro, scagli la prima pietra!
Tutto questo discorso era solo per rendere consapevoli che le differenze fra gli oggetti esistono, ma che per scoprirle, spesso, occorre andare un po’ più a fondo della mera apparenza.
Come, appunto, accade per il telefonino e le famose scarpe impresse sulla tela da Van Gogh.

Gianrocco Guerriero

Monday, December 17, 2007

QUANN NEVECA


Cum foss cà me n’addon quann, fore, stai pe nevicà.
Crest te men u sciat sui sopa a la terra,
pe chess l’aria ei doce e seren.
Na pace e nu selenzio tene ogne cosa.
E tra luce e scure totte devent pesel e ianc.
E nevica.

(Donato Muscillo, poeta genzanese)
(gruppo editing)

Lezione magistrale di Mons. Marcello Semeraro

Mercoledì 12 dicembre 2007,
presso il villaggio Tabor in Acerenza, S. E. Mons. Giovanni Ricchiuti, ha invitato tutti gli operatori pastorali che frequentano la scuola di formazione teologica a Tolve,ad un incontro piuttosto singolare tenuto da un relatore esterno alla nostra diocesi. Si è trattato di una conferenza di Mons. Marcello Semeraro, noto teologo italiano, vescovo di Albano laziale, il quale ha dato una lettura teologica attuale del libro di S.S. Benedetto XVI, “Gesù di Nazaret”.

Monday, December 03, 2007

BAMBINI OGGI

Oggi, superata la soglia del terzo millennio, sono troppi i bambini che ancora soffrono nel mondo degli adulti. Nel 1959 è stata scritta la Dichiarazione dei diritti sui bambini dagli stati del mondo . E’ come una lettera che dice ad ogni bambino “ Tu sei importante “. Nonostante questa dichiarazione in alcuni paesi del mondo ci sono bambini soldato, bambini che vivono nelle fogne, bambini sfruttati ed altri che si divertono a usare i bambini come fossero oggetti. Yes for cildren è un manifesto per l’infanzia scritto dall’UNICEF per ricordare quali sono i diritti di tutti i bambini, perché ogni bambino che nasce porta con sé le speranze e i sogni di tutta l’umanità.

Classe 4 A B C